Famiglia
Italiafrica. Dopo il successo, un caso. Ma i noglobal, doverano?
"Un appuntamento troppo istituzionale", si giustifica Caruso. "Quando i problemi diventano specifici, il movimento va in affanno", ribatte Tonio dallOlio. E ora
“Corteo istituzionale. Solidarietà calata dall?alto”. Sono state diverse le ragioni che, a sentir loro, hanno tenuto lontano il ?movimento dei movimenti? dal corteo e persino dal concerto di Italiafrica dello scorso 17 aprile. “Né aderire né sabotare”, nei fatti, è stata la loro parola d?ordine.
Mancavano tutti i volti noti della galassia no e new global. Non c?era Vittorio Agnoletto, non c?era Luca Casarini, non c?era Francesco Caruso, men che meno c?era Piero Bernocchi. I leader politici del centrosinistra c?erano, anche se a ranghi ridotti. C?erano tutti, invece, i leader delle tre confederazioni sindacali Cisl, Cgil e Uil (Pezzotta, Epifani, Angeletti), principali titolari dell?iniziativa con la Comunità di Sant?Egidio e il sindaco di Roma, Walter Veltroni. A vederli sfilare e abbracciarsi non sembravano affatto ?istituzionali?, ma solo felici per la riuscita dell?iniziativa. Certo, colpiva vedere le bandiere blu di Sant?Egidio (e del WWF) in prima fila, al corteo, e sentire i loro slogan pacifici prima che pacifisti, i loro canti d?amore e solidarietà: i ?duri? se l?aspettavano e hanno preferito glissare.
Francesco Caruso, leader riconosciuto dei no global nel Sud, a Vita la spiega così: “Il circuito istituzionale dentro cui è cresciuta quella manifestazione non ci interessava né noi possiamo essere ovunque”. E l?Africa? Caruso riconosce che il tema passa poco, nelle mailing list del movimento (su Indymedia, infatti, non ve n?è traccia) e torna sul concetto di “solidarietà calata dall?alto, assistenzialistica, politicamente poco interessante”. La sensibilità del movimento sui temi del commercio e del debito però è alta, sostiene: per Messico e Argentina ci siamo mobilitati. Lì però, ammette, è più facile: la controparte è evidente (Wto e Fmi, bestie nere del movimento) e la mobilitazione più efficace. “Sull?Africa apprezzo il lodevole lavoro dei missionari”, dice. Fine.
“Ma chi sono questi tipi strani che urlano e agitano le bandierine blu dell?Onu”, chiede il collega avvezzo alle manifestazioni dei duri e puri, quelle dove senti l?ebbrezza dello scontro con la polizia ad ogni angolo. I tipi strani sono quelli della Comunità di Sant?Egidio e non urlavano, scandivano slogan come “Africa-Europa insieme in cammino, diverse le storie, comune il destino”: un po? prolissi, forse, ma efficaci.
Mario Giro, che per la Comunità ha seguito tutta l?organizzazione dell?iniziativa, riflette perplesso: “Si può dire no alla guerra, alle armi, e insieme essere propositivi. Il nostro amore per l?Africa è concreto, fattivo, come quello di Veltroni e di Pezzotta. Ma dirci di essere troppo light o istituzionali vuol dire non aver capito nulla: se non volevamo fare politica, non facevamo un corteo, ma solo un bel convegno, invece tutte le iniziative della due giorni, i suoi eventi, tendevano alla manifestazione finale per dimostrare che vogliamo fare politica ma partendo da esigenze concrete e reali. E poi perché storcere il naso di fronte all?impegno del Comune? Dice nulla la politica della cooperazione decentrata, utile come il nostro lavoro sull?Aids, per l?Africa?”.
Tonio Dall?Olio, portavoce di Pax Christi, che sul Sudan ha in piedi una campagna ad hoc dal 95, non si scandalizza: “Non è una novità la differenza di stile e metodi tra chi rincorre gli appuntamenti dell?agenda internazionale e chi lavora sulle campagne, da noi a Lilliput, dalla Tavola della pace alle ong. Sull?Africa non ci sono bandiere da sventolare, ma compiti da svolgere. Quando i temi diventano specifici la sinistra e parte del movimento vanno in affanno o dimostrano minore capacità di mobilitazione”.
Tom Benetollo, orgogliosamente, sottolinea che l?Arci non solo ha aderito ma ha aiutato molti africani a venire a Roma, anche economicamente. E Guido Lutrario, portavoce dei Disobbedienti romani, rivendica la loro presenza dietro lo striscione “Diritto di fuga, diritto d?accoglienza”. “Il problema dell?Africa sta anche a casa nostra”, dice, “in centri di accoglienza strapieni e invivibili, nei tanti migranti che vivono in condizioni inaccettabili, in una situazione ai limiti della decenza come quella di Hotel Africa, sulla Tiburtina. Veltroni ci ha assicurato che interverrà ma crediamo che si può aiutare l?Africa anche lottando per migliorare le condizioni di vita degli immigrati a Roma”.
Maurizio Gubbiotti, della segreteria nazionale di Legambiente, prima sottolinea che Vittorio Agnoletto “ha partecipato a un nostro incontro che, dentro Italiafrica, affrontava il dramma dei farmaci salvavita e il nostro progetto in Swaziland”, poi inquadra il problema in un?ottica globale: “Il movimento va al di là di tutti noi, sa parlare in modi diversi a pubblici diversi, sarebbe sbagliato cercare cabine di regia. Poi, è vero, alcuni lavorano meglio sui contenuti e altri sui cortei”. Flavio Lotti, portavoce della Tavola della pace, vede invece aree e mondi diversi (pacifisti, no global, movimento contro la guerra) che a volte s?incontrano, a volte no, ma soprattutto punta il dito contro quelle forze politiche, “che non si decidono ancora a mettere al centro delle loro azioni la questione Africa. Abbiamo puntato a questo, nel costruire la mobilitazione e la risposta della gente è stata forte, ma gli impegni della politica, sinistra compresa, devo ancora vederli”.
Tornando ai no global puri e duri, se è vero che il comitato Fermiamo la guerra ha formalmente aderito alla manifestazione con un documento su cui nessuno (Cobas e Disobbedienti compresi) ha sollevato obiezioni, c?è chi ha storto il naso per alcuni sponsor di Italiafrica (Banca Intesa e Western Union) e chi ha scelto deliberatamente di non andare in piazza il 17 aprile. “In effetti”, sorride Riccardo Troisi di Rete Lilliput, che c?era, come padre Zanotelli, “faceva un po? impressione vedere le bandiere blu con la colomba di Sant?Egidio o quelle bianche del WWF, a fare la parte del leone assieme a quelle dei tre sindacati, ma un pezzo di movimento e di sinistra storica non ha nei suoi cromosomi l?Africa”.
Che stia per nascere un movimento nuovo: operatori sociali, ambientalisti, disobbedienti dialoganti, dipendenti comunali, pacifisti giovani e vecchi che il 17 aprile sono stati insieme? Per l?Africa, contro tutte le guerre e le ingiustizie?
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